[Perchè ci odiano - Sparare prima far domande dopo]

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PID, Positive Identification

PID, Positive Identification. Tradotto è Identificazione Positiva, e questo concetto, assieme al documento che lo contiere,  potrebbe spiegarci quanto è accaduto a Nicola Calipari e a Giuliana Sgrena la drammatica sera dello scorso 4 marzo.

Si tratta della prima fra le Regole di Ingaggio (Rules of Engagement, ROE) per i marines americani in Iraq,  listata nella CFLCC ROE CARD (U.S. Central Command Combined Forces Land Component Commander, Rules of Engagement Card), una placca laminata distribuita ai soldati USA in Iraq a partire dal gennaio del 2003 (AS OF 31133OZ JAN 03). Un documento Top Secret, secondo il sergente Don Dees dell’ufficio stampa della Coalizione Multinazionale a Baghdad, che mi chiede di non divulgarlo, perché “..potrebbe mettere a serio repentaglio la sicurezza dei nosti uomini.”, mentre un no comment  imbarazzato è il commento che raccolgo dal Colonnello Barry Venable del Pentagono.

Secondo le sopraccitate regole d’ingaggio, ai militari americani viene richiesto di effettuare una “Identificazione Positiva” di un qualsiasi obiettivo sospetto prima di “ingaggiarlo”, e cioè prima di aprire il fuoco, ma in cosa consista e quanto debba essere scrupolosa tale identificazione è lasciato nel vago, e qui potrebbe stare il seme della tragedia del 4 marzo. Il testo recita: “Si richiede una Identificazione Positiva (PID) prima dell’ingaggio. PID si intende come la ragionevole certezza che l’ obiettivo proposto è un obiettivo militare legittimo.” L’ambiguità e l’ampiezza delle interpretazioni possibili di quella “ragionevole certezza” significano che i marines sono di fatto lasciati alla loro emotività reattiva con ampissimi margini per successive giustificazioni. Forse, proprio quello che è accaduto a Calipari e Sgrena, vittime di una tragica, quanto insondabile “ragionevole certezza” nella mente di uno o più militari americani. Uno di essi, citato dall’autorevole Human Rights Watch nel rapporto ‘Coalition Conduct in the Ground War’, aveva dichiarato che “le regole di ingaggio verbali emanate dai nostri superiori lasciavano intendere che tutti gli obiettivi dovevano essere considerati ostili, piuttosto che essere oggetto di a una previa Identificazione Positiva.”

Già nel dicembre 2003, il rapporto di Human Rights Watch sottolineava la gravità della discrepanza fra la pur vaga richiesta di identificare un obiettivo prima di aprire il fuoco contenuta nelle Regole d’Ingaggio per iscritto, e la realtà degli ordini dati verbalmente.

 

Fra l’altro, l’affermazione che fin da subito ha formato l’asse portante della difesa di Washington nel caso Calipari-Sgrena, e cioè che l’auto su cui viaggiavano si stava avvicinando alle forze americane ad alta velocità, è presa alla lettera dalle Regole d’Ingaggio americane in Iraq così come interpretate e verbalmente trasmesse dal Colonnello David Perkins, il comandante dell’operazione Thunder Run che sfondò le linee irachene a Baghdad. Perkins istruì i suoi soldati che un obiettivo sconosciuto si doveva presumere come ostile se “..l’auto su cui viaggia si sta avvicinando alle forze americane ad alta velocità”.

 

Ma anche rimanendo fedeli al testo del documento “top secret” di cui sopra, vi si trovano  ulteriori e chiare evidenze della generosissima discrezionalità garantita al soldato americano sul quando, e contro chi, aprire il fuoco. Per esempio: “Non colpire ospedali, moschee, civili, non far fuoco su aree popolate da civili…. eccetto per difendere te stesso….”, oppure “L’uso della forza letale è autorizzato per proteggere i seguenti: te stesso, il tuo plotone e forze alleate..”, e questo senza fornire ulteriori restrizioni o chiarimenti sulla soglia oltre la quale sia legittimo per un marine dichiararsi in pericolo di vita,  e dunque aprire il fuoco. La frase “a meno che non sia necessario per la tua auto difesa” è inserita di continuo nelle ROE CARD, vale a dire in quasi tutti i casi in cui viene chiesto al soldato di pensare due volte prima di premere un grilletto.

 

Tutto questo già di per sé potrebbe fornire una eloquente spiegazione di quello che è accaduto la sera del 4 marzo, ma ancor più gravemente dimostrerebbe come la tendenza  a “sparare prima, e far domande dopo” non sia frutto dell’imperizia emotiva di qualche giovane terrorizzato,  come si sostiene da alcune parti, e che, al contrario, essa sia parte integrante della formazione militare delle truppe destinate a contesti ‘caldi’. E dunque, a meno di risvolti clamorosi nell’inchiesta in corso, si può con ragionevolezza immaginare che la tragica fine di Nicola Calipari, e di molti altri civili iracheni di cui non si parla, era già scritta da almeno due anni fra le righe delle placche laminate CFLCC ROE CARD dell’esercito statunitense.

 

Paolo Barnard


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