[Per un mondo migliore - Due approfondimenti da Golem - Articolo 2]

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La chiusura dell’ultimo numero non può essere chiusura degli argomenti che vi sono stati trattati

 

Caro Colombo, abbia pazienza, come facciamo a risponderle? Lei ci pone quesiti di tale ampiezza da richiedere decine di pagine ciascuno anche solo per risposte sommarie. Sintetizzare, qui, equivale a dire quasi nulla, ma soprattutto a essere poco comprensibili dal lettore.

In ogni caso ci provo e mi sbarazzo subito della questione rivoluzionaria. Dal suo testo mi sembra di cogliere un invito a ragionare di cambiamento sia in l’Italia che nel quadrante internazionale. I moti cruenti, per fortuna, nulla hanno a che vedere con l’auspicata rivoluzione italiana del terzo millennio, dove in apparenza (si legga sotto) si tratterebbe di liberarci unicamente da noi stessi, ovvero dal nostro disastroso modo di essere cittadini, mica di altro. E’ ben chiaro infatti che di regimi qui da noi non ve n’è traccia, checché ne dica la demagogia dei Travaglio, Grillo o Sabina Guzzanti e dei loro fidelizzati (che in ciò offendono i torturati, i massacrati, gli scomparsi dei veri regimi). Dunque nessun “venir meno a regole di rispetto della vita altrui” nel “sangue e nel terrore” sarà necessario nel bel Paese.

 

Immensamente diversa è la realtà in luoghi meno fortunati del mondo. Non credo che gli esempi sulla fine incruenta del dominio coloniale in India, dell’Apartheid in Sudafrica e del regime Sovietico che lei cita siano del tutto calzanti se l’auspicio è quello di vederli replicati in altri contesti illiberali e repressivi. Per ragioni semplici. In India Gandhi aveva a che fare con gli inglesi, il cui impero in diverse istanze aveva già da tempo metabolizzato l’inevitabile autodeterminazione dei suoi sudditi (si veda il Medioriente). Inoltre gli inglesi, per quanto spietati e irresponsabili, non erano i nazisti, e neppure, venendo all’era contemporanea, una cabala di satrapi psicopatici come il fenomeno Khmer in Cambogia, come i regimi dei National Security States dell’America Latina, come i Talebani, o come la leadership cinese in Tibet e i generali di Yangoon. Se così fosse stato, il Mahatma non avrebbe raggiunto la mezza età, i suoi resti sparsi chissà dove. Basta leggere i rapporti di Human Rights Watch per sapere che sono stati centinaia i ‘Gandhi’ di Paesi lontani la cui azione morì sul nascere con la stessa rapidità del proiettile nella nuca che li uccise.

In Sudafrica la rivoluzione dei neri non fu affatto incruenta, anzi. Ho personalmente testimoniato da cronista le stragi, la guerra civile, la brutalità che hanno accompagnato tutto il capovolgimento del regime, fino a poche ore dall’elezione di Mandela a presidente.

Nel caso dell’Unione Sovietica le cose potrebbero apparire in effetti più rosee. Ma non ci dimentichiamo che fu la sconfitta afghana, a un costo complessivo in vite umane e in sofferenze spaventoso, a dare la spallata alla volontà dell’apparato militare di ostacolare lo sfascio del regime con la forza. Inoltre, se il calcolo viene fatto in termini di orrori conseguenti al processo rivoluzionario nel medio/lungo periodo, allora il quadro diviene anche in questo caso tanto sanguinario quanto quello dei più feroci capovolgimenti. Basti pensare al dato della vita media in Russia, che nell’immediato periodo post sovietico crollò dai 63,8 anni per gli uomini e 74,4 per le donne ai 57,7 e 71,2 rispettivamente, con le cause attribuite “all’instabilità economica e sociale… depressione, malnutrizione e deterioramento del servizio sanitario nazionale(1). Si tratta di centinaia di migliaia di decessi anzi tempo, ‘costi’ direttamente attribuibili al cosiddetto cambiamento.

Per rispondere telegraficamente (ahimè) alla sua seconda domanda e allegati, posso dire che i mezzi per cambiare senza “sangue e terrore” sono pronti, ma quasi nessuno nel mondo che ‘conta’ è disposto veramente a usarli. Perché? Perché quasi nessuno accetta di pagarne i costi. Quali costi? Quelli relativi al riequilibrio degli standard di vita sul pianeta, per finalmente prosciugare la palude della miseria, dello sfruttamento, dell’ignoranza, dove proliferano i tiranni sostenuti da eserciti di giovani (o bambini) disposti alla barbarie pur di fuggire a esistenze miserabili, quando non disposti a farsi saltare in aria piuttosto che essere assimilati nella monocultura commerciale di un mondo lontano e moribondo che non hanno mai scelto e che li ha sequestrati. I costi per noi in termini di restituzione di risorse e quote di mercato, che concretamente significano tagli al nostro standard di vita, alla nostra già precaria occupazione, soprattutto un ridimensionamento catastrofico della nostra agricoltura, e la profanazione del nostro simulacro più inviolabile, la crescita economica (oddio!). Vede Colombo, già lo scrissi: “Sanno bene, i Bush, Blair, Putin, Chirac, Berlusconi ecc., che dovranno continuare a garantirci: il consumo del 45% di tutta la carne e pesce del globo – del 58% dell’energia disponibile – del 74% delle risorse telefoniche – dell’84% di tutta la carta – dell’87% dei mezzi di trasporto esistenti e l’86% dei beni di consumo in generale. In un mondo che sta esaurendo le risorse il loro compito è duro, perché noi queste cose le diamo per scontate ogni giorno, tutti noi”.(2) Ci fanno comodo i due milioni di morti in Congo – il minerale coltan si estrae laggiù, ed è indispensabile a prezzi stracciati per i nostri cellulari. Quanto costerebbe il mio Benq Siemens se quei due milioni fossero ancora al mondo, in democrazia con il loro affitto o mutuo, la pensione, i sindacati, la maternità, le ferie pagate… E per ogni tirannide la storia è la stessa, ripetuta fino alla noia ormai. Bush imperialista e assassino? Prodi complice? D’Alema criminale internazionale? Sì, confermo, ma noi? Noi che stiamo colloquiando su questo sito, per esempio, o quelli di noi che hanno tifato per la montante ondata di indignazione nazionale pompata da Beppe Grillo sul Web, noi combattenti di Internet per un mondo migliore, a chi siamo associati ogni volta che siamo online? Al controllore mondiale di Rete che è la Internet Society in Virginia, vale a dire ai falchi dei Diritti di Proprietà Intellettuale (strumenti di infinita miseria globale) come Microsoft, come Hewlett Packard o IBM; agli impietosi licenziatori come Nortel & Alcatel (50.000 lavoratori a casa), come Hitachi (20.000) o come Intel e Lucent (20.000); ai vampiri della speculazione finaziaria come la JP Morgan, e infine ai venditori di strumenti di  morte come Marconi Corp., come (la ex) WorldCom, come Motorola Inc, come la Rand e come la Defense Information Systems Agency.(3) Mentre il braccio esecutivo è il Department of Commerce (DoC) degli Stati Uniti attraverso la Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (ICANN)(4), lo stesso DoC invischiato nella rapina a mano armata che è oggi la ricostruzione in Iraq, e in altri scempi in tutto il pianeta.(5)

Avremmo questo meraviglioso strumento allo stesso prezzo se ricusassimo costoro e quello che le loro azioni causano nel mondo? Caro Colombo, lei chiede: “Non esiste la volontà per fare?”. No, non esiste, e sa perché? Perché quel guardarci dentro che anche lei auspica non è un’opzione accettabile, neppure fra quelli ‘buoni’, meno che meno pagarne poi i prezzi.

 

Torno all’Italia e rispondo anche alla sua prima domanda: temo che i tempi brevi per il cambiamento non siano qui neppure immaginabili. Ahimè, si tratta davvero di “dover attendere i tempi lunghissimi della sostituzione di un modo di pensare diffuso”, cui io aggiungerei anche la sostituzione di un modo di esistere e di un modo di percepirsi.

Sono convinto che qualcosa sia accaduto nell’evoluzione sociale dell’Occidente contemporaneo che non ha riscontri con alcunché nella Storia dell’umanità. Per la prima volta da quando l’essere umano abita il pianeta, ciò che da sempre era stato ad appannaggio esclusivo di minuscole elites è divenuto consuetudine per almeno 800 milioni di persone: è l’Esistenza Commerciale. Essa è quella modalità di vita dove il fine economico è l’accumulo del surplus, e non più la sola acquisizione di sicurezza e sussistenza. Ciò è accaduto all’improvviso in pochi decenni, con un’accelerazione spaventosa rispetto agli standard di vita dei 40 o più secoli precedenti. All’Esistenza Commerciale si è associata l’esplosione della Cultura della Visibilità, che è forse la singola più devastante aberrazione che abbia mai afflitto il sistema dei rapporti nelle società moderne, e che induce quotidianamente milioni di persone a mortificare se stessi a fronte di altre persone, gli ‘importanti’ - i ‘visibili’ – i Vip, che sono in tutto e per tutto identici a loro per fattezza, dignità e destino, ma cui vengono inspiegabilmente riconosciuti grandezze, privilegi, e diritti superiori.

Questi due fenomeni ci interessano perché li ritengo alla radice della paralisi progressiva che affligge il cittadino contemporaneo occidentale, incapace ormai di intraprendere cambiamenti epocali per salvarsi la pelle, sia metaforicamente che fisicamente parlando. Incapace cioè di agire per ottenere il cambiamento. Nelle parole di David Bollier: Potrà una società che si è così gettata su una eccessiva commercializzazione funzionare ancora come una democrazia deliberativa? Potrà il pubblico ancora trovare e sviluppare la sua voce sovrana? O, viceversa, il suo carattere è stato così profondamente trasformato dai media commerciali da stroncarne per sempre l’abilità di  partecipare alla vita pubblica?(6)

La Cultura della Visibilità martella la persona fin dall’infanzia, e all’ossessione attraverso i media, con le ipertrofiche immagini dei famosi – potenti – colti – protagonisti – importanti – divi - campioni. Ed è proprio quell’incessante paragone fra la propria (generalmente fragile) autostima e l’immagine di grandezza dei personaggi famosi, fra il proprio (limitatissimo) potere e quello dei Vip (cosa puntualmente confermata dai fatti), che finisce per annullare la persona comune. Da ciò la cosiddetta massa ne esce schiacciata verso l’idea che se non si è visbili non si conta, non si può, neppure si esiste, ed è dunque la principale causa della sua incapacità e rinuncia a essere parte attiva e protagonista politica della propria esistenza, con le sventurate conseguenze ben note (in termini di passività ma anche di corsa degenere verso qualsiasi cosa renda visibili anche per un solo istante).

 

Ora, caro Colombo, senza la sostituzione di questi due fenomeni aberranti con una cultura radicalmente diversa non v’è, a mio parere, speranza di cambiare alcunché nel sistema di rapporti attuali, in Italia e nel resto dell’Occidente. Ogni altra via, dall’introspezione ai movimenti politici cosiddetti alternativi, è destinata a fallire.

Il discorso necessiterebbe di un’infinità di ulteriori specifiche, ma qui mi devo fermare.


Paolo Barnard

 

1) Journal of the American Medical Association, vol. 279, march 11, 1998

2) Behind Consumption and Consumerism, Global Issue/ONU, 12/10/2002, citato in “Per Un     Mondo Migliore”, Paolo Barnard, http://italy2.peacelink.org/pace/articles/art_8387.html

3) The Federation of American Scientists, Arms Sales Monitoring, edizione del 02-2002.

4) http://www.icann.org/

5) Perché ci Odiano, Paolo Barnard, Rizzoli BUR 2006

6) The Silent Theft, David Bollier, Routledge, 2002


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