[Paolo Barnard]

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Il dott. Vittorio Vannini era l’infettivologo più amato dagli ammalati di Aids di Bologna e oltre. Forse del mondo. Perché? Gli sorrideva sempre, li aiutava sempre, li amava sempre. Li amava sempre.

Era il 1994, si moriva di Aids con la stessa certezza di chi ingoia una caraffa di cianuro. Speranza zero, età media 35 anni. Io li vedevo morire perché li aiutavo a morire. Lui, Vannini, li vedeva morire perché li aiutava a morire molto meglio di me.

Una notte mi stacco dal letto di un ragazzo che assistevo e mi siedo in guardiola con lui. Io e lui che ci guardiamo, in quel cimitero appena un passo prima del cimitero. Quando si vivono certe cose, e se si hanno gli occhi per vedere “che i morenti sono noi, e che noi siamo loro”, ci si siede alla 3 del mattino in una guardiola e si parla della nostra morte. E lui solo mi disse: “Ho avuto tre infarti, non vivrò molto, ma l’unica cosa che non voglio è di trovarmi in coma attaccato a una macchina. No, quello no.

Pochi anni dopo lo era. Io lo andavo a trovare nel mezzo della notte salendo le scale anti incendio esterne e scavalcando la balaustra del suo balcone, così che lo guardavo attraverso la vetrata della finestra. Fissavo il suo torace e a ogni respiro pregavo che fosse l’ultimo. Così per non so quante notti. Ma non moriva. Lui. Morivo io che pochi anni prima avevo sentito quella sua frase, pronunciata con la sua voce soffice e lenta.

Ho molto di cui incolpare Dio, o chi per lui. Quel destino spedito con ripugnante ironia della sorte al medico più buono e amato del mondo. Ma c’entra Dio, o chi per lui? Nel Vangelo di Giuda, di recente scoperta, si afferma che il mondo terreno non è affatto regolato dal volere di Dio, ma da una masnada di Dei primitivi, stupidi e immorali. E’ vero.

Questo ha senso raccontare ora.