[Paolo Barnard]

2. LE FAVOLE DI BARNARD PER I BAMBINI DEI SUOI LETTORI

(da leggere ai vostri bambini per addormentarli)

Cera una volta il regno di Looman, un regno buono, stranamente buono, perché purtroppo i Re, le Regine e i Cavalieri finiscono quasi sempre per diventare avidi e cattivi. Ma, narra un’antica leggenda, il regno di Looman era stato fondato agli albori della Storia da quattro cigni sacri, che un dì assai remoto volarono ai quattro angoli di una grande terra del Nord e vi posarono, in ciascun angolo, un seme di quercia. La quercia, dovete sapere bambini, è l’albero della giustizia, della forza del bene, ed è possente.

Le quattro querce crebbero rapide, per divenire dei veri e propri giganti che delimitavano appunto quella grande, ma anche fiorente terra. Su essa crebbe un regno che si diceva essere fra i più giusti del mondo, e forte come le querce. Il regno di Looman appunto. Come tutti i reami che si rispettano, il regno di Looman aveva al centro un grande castello, dove viveva un Re, chiamato Re Tiom, accoppiato alla sua regina chiamata Fusar. Questa coppia reale ebbe un figlio, e lo chiamarono Principe Smeraldo perché egli aveva due occhi verdi così fulgidi da sembrare proprio due pietre preziose. I viandanti di altri regni sentivano dire che i sudditi del regno di Looman vivevano bene, non esistevano i poveri, non c’erano le guerre, ed erano per questo molto invidiosi.

Ma di particolare a Looman c’era anche un’altra cosa: un vecchio mago, chiamato Mintor. Da dove fosse venuto questo mago nessuno a Looman lo sapeva, neppure Re Tiom. Sta di fatto che mago Mintor viveva dentro una delle quattro querce che i cigni sacri avevano piantato mille e mille e mille anni prima. Egli era vecchio, talmente vecchio che la sua barba bianca era lunga come tutta la strada che dalla sua quercia conduceva al castello di Re Tiom, e infatti ogni volta che il Re lo chiamava per un consiglio, i soldati dovevano correre da Mintor e portargli la barba lungo le strade come si porta il velo di una sposa in chiesa. Questo mago però era ormai alla fine della sua vita, e tutti, ma proprio tutti nel regno erano tristi quando lo vedevano.

Intanto il Principe Smeraldo era cresciuto per diventare un baldo giovane, e come tutti i giovani cercava l’amore. Ma ahimè, non lo trovava. Aveva anche viaggiato in altri regni, ma aveva sempre trovato donne e uomini meschini, distratti da troppe cose, oppure avidi e falsi. E, bambini miei, Smeraldo si era rassegnato a rimanere solo, senza un amore.

Poi una notte… era una notte strana, perché nel cielo tirava un vento furioso che accavallava nuvole nere e minacciose di tempesta sopra a una luna piena, ma talmente brillante da sembrare un piatto d’argento illuminato dalle stelle. Le persiane e le tende della camera da letto di Smeraldo sbattevano per il vento, e lui non poteva prendere sonno. Ma a un certo punto…

Dapprima Smeraldo sentì un profumo divino proprio al suo fianco, e si girò di scatto, ma non v’era nulla, solo l’altro cuscino del suo letto. Eppure quel profumo non passava. Ma proprio mentre il Principe si chiedeva cosa stesse succedendo, egli sentì come dei fili di seta morbidi sfiorargli il viso. Ma che accadeva? Lui non vedeva nulla, non c’era nessuno sul suo letto! Tremante, egli stese la sua mano verso quella seta e la sentì veramente. Sembravano… sembravano… capelli, lunghi capelli di una donna. La sua mano li seguì dal basso verso l’alto e… Dio! C’era un volto sotto quella chioma! Ma di nuovo lui non lo vedeva, nulla di visibile c’era, esistevano solo quel profumo del Paradiso, quei capelli di seta e un piccolo viso tenero con la pelle di velluto che sì, sì! lui poteva toccare ma non vedere! Poi un tocco, o meglio una carezza si posò sulla sua fronte, era una mano, di sicuro, pensò Smeraldo, e quando essa scese sul suo viso per sfiorargli le labbra, ecco che il Principe non ebbe più dubbi: erano dita affusolate, delicate nel tocco come quella di una mamma col suo bimbo, ma si soffermarono sulla sua bocca, e la condussero verso destra, in un luogo dove Smeraldo continuava a non vedere nulla. A vedere nulla, certo, ma poi…

La bocca del Principe incontrò qualcosa di morbido e caldo, profumatissimo e un sussurro fine. Erano due labbra di tenerezza senza fondo, labbra di donna che lo baciarono.

Tutto questo sembrava un sogno, un sortilegio, ma no, Smeraldo era sveglio era presente, e allora non esitò più e si erse dal cuscino per estendere le sue braccia attorno a quell’essere paradisiaco che non poteva vedere. Era donna, sì, che gli si abbandonò con una resa dolce e disarmata. Fioccarono baci, sospiri, carezze e fecero l’amore. Mai una parola però scaturì dalla bocca di entrambi. Smeraldo decise che avrebbe amato quella donna invisibile a occhi chiusi, così da poter ricostruirne le forme nella sua mente, ed erano forme sublimi, anche nel corpo, ma soprattutto nella dolcezza del tocco di quelle mani affusolate. E si addormentarono abbracciati.

Al mattino Smeraldo spalancò gli occhi e si precipitò sul cuscino accanto a cercarla, ma non c’era più nulla. Ho sognato? Si chiese con una morsa nel cuore. No! Quel profumo era ancora lì, non v’erano dubbi, non era stato un sogno. Il giovane era turbato, ma nel suo cuore ora viveva un desiderio potente, la voleva ancora, ancora, Dio ti prego!, almeno un’altra sola volta. E così fu. Ogni notte successiva ella si ripresentò al Principe, e ogni notte lo amò. Smeraldo stava impazzendo d’amore ma anche di angoscia! Guardava il cielo e chiedeva: “Ma perché un destino al contempo così paradisiaco ma anche crudele? Perché non posso vederla? Perchééé? Io la amo”. E fu lì che si ricordò del saggio mago Mintor…

Fu tutt’uno. Infilò gli stivali, saltò sul suo cavallo più veloce, e corse, corse per colli e montagne coi suoi lunghi capelli neri che s’impigliavano nei rami degli alberi, con la pioggia che lo batteva, senza mangiare né bere, il suo cavallo altrettanto furibondo cavalcava come un leone alla caccia. E arrivò. Ansimante s’introdusse nell’antro della quercia dove il mago Mintor era sempre vissuto, ma era buio. Smeraldo lo chiamò, e ancora e ancora, ormai rassegnato di non trovarlo, quando a un certo punto un lumicino si accese alla sua sinistra, e per quel pochissimo che poté illuminare, egli vide Mintor sdraiato avvolto nella sua immensa barba, con gli occhi chiusi. Gli si avvicinò, lo chiamò, ma ora con voce soffusa:

Mio amico Mintor, sono il Principe Smeraldo, aiutami ti prego!”. Il volto di Mintor neppure si mosse, era cereo, scavato, e il cuore di Smeraldo si fermò per un attimo. Dio! Mintor stava morendo! Eppure il mago ebbe la forza di sussurrare: “Sei qui per quella donna, vero? Vero Smeraldo? Quell’amore che da tutta la vita cerchi, che ora hai trovato e che ora ami tutte le notti, ma che non puoi vedere, vero Smeraldo?”. Il principe trattenne il fiato per un minuto, e poi si lasciò andare a un mesto “Sì, sono qui per lei, aiutami ti prego! Voglio vederla”. Il vecchio mago accennò appena un’espressione di pietà, appena accennò una scossa del capo. E parlò:

Smeraldo, donerai i tuoi bellissimi occhi al tuo regno, e solo allora la vedrai, e solo allora sarete felici, per sempre, tu e lei”.

Il Principe trasecolò, iniziò a tremare, non poteva credere a ciò che aveva sentito. Ma era terribile! Ma come poteva, lui, giovane e famoso per quei trafiggenti occhi color smeraldo, privarsene, divenire quindi cieco, per poterla amare? L’impeto giovanile gli fece sgorgare dalla gola “Mintor! Tu sei crudele! Come puoi chiedermi questo per darmi il diritto di amare quella meraviglia? Lei è lo scopo ora di tutta la mia vita!!??” Al vecchio mago ora erano rimasti solo due respiri. Col primo spense la candela e tutto piombò nel buio. Col secondo sospirò: “Dona i tuoi occhi al tuo regno così che essi possano vederla”. E morì.

Fuori dalla quercia le nubi si erano placate, col vento. Ma il ritorno di Smeraldo e del suo fulgido puledro fu un trascinarsi per colline e montagne senza forze, senza più voglia di arrivare, e forse neppure di vivere. Quelle parole del mago Mintor… “Dona gli occhi al tuo regno…”, come coltelli nel petto del Principe. Eppure, egli pensava, Mintor era sempre stato un buono, aveva sempre parlato di compassione e di felicità, come era possibile che ora gli chiedesse un sacrificio così orribile? Amare quella donna del Paradiso, sì, poterla finalmente vedere, sì, ma da cieco, senza più i suoi occhi smeraldo per osservare tutto il resto.

Il Principe per cento notti non tornò nel suo letto, si rifugiò a dormire in cima a una torre ventosa del castello. Non poteva immaginare di incontrare quel suo amore, con quell’angoscia nel cuore. E infatti lei era scomparsa. La sua mente ora era come un mulino a vento con le pale che girano furibonde sempre intorno alla stessa cosa, e quella cosa erano le terribili parole “Dona gli occhi al tuo regno…” “Dona gli occhi al tuo regno…” “Dona gli occhi al tuo regno…”.

Dona…… gli…… occhi….. al….. tuo….. regno. Al regno? Al regno? MA SIII’ ORA HO CAPITO! gridò nella notte Smeraldo, e in quel mentre una goccia, una lacrima, gli cadde sul petto dal cielo.

Aveva capito il Principe, aveva capito l’immensa saggezza del vecchio mago. No, non doveva fisicamente togliersi gli occhi color smeraldo e donarli alla sua gente, no! Lui doveva DONARE IL SUO SGUARDO a chi veramente era la sua gente, a come veramente vivevano nel suo regno, ecco cosa voleva dire Mintor!!!

Smeraldo si precipitò a quattro passi giù per i gradini di quella torre in cui si era rinchiuso, spalancò i portoni del castello e corse, corse come un lupo verso i suoi villaggi proprio mentre il sole sorgeva dietro le colline, e vide, e finalmente vide… No, non c’era un regno di Looman pacifico, no non esistevano famiglie in armonia e sicurezza, no i bambini non erano vestiti bene e felici di giocare, no le donne non erano belle, ma raggrinzite dalla fatica e piegate in due anche se erano giovani, no non c’era cibo per tutti, no non c’erano camini caldi nelle case. No, non c’era giustizia nel suo regno, e quindi non c’era pace né amore. Smeraldo ora camminava per quelle strade puzzolenti, ammutolito, lento, come addormentato dalla tristezza; egli toccava con le mani tremanti i capelli stopposi delle donne, le guance zozze dei bambini, e incrociava gli occhi bui degli uomini induriti dalla povertà e dall’ingiustizia. Smeraldo si girò sui tacchi dei suoi stivali di cuoio e bottoni d’oro… AVEVA VISTO. Il suo ritorno al castello fu la copia del suo terribile ritorno dalla quercia del saggio mago Mintor.

Salendo gli scaloni del salone regale, egli incontrò il padre, Re Tiom e Regina Fusar. Gli occhi color smeraldo del Principe erano ora due raggi mortali che trafissero quei due regnanti falsi, che lo avevano illuso che Looman fosse un paradiso per il popolo. Essi avevano tradito il miracolo delle quattro grandi querce di giustizia e protezione, e non avrebbero avuto perdono.

Il Principe chiamò l’esercito e diede l’ordine di tutti gli ordini: “Che tutti gli ori, le pietre preziose, le sete d’Oriente, i gioielli e le corone siano ora caricati sui carri e distribuiti al mio popolo perché viva bene, ora, subito!” I soldati erano letteralmente soggiogati dalla potenza dei nuovi occhi del Principe Smeraldo, ed obbedirono. Quella stessa sera gli infami regnanti Tiom e Fusar fuggirono dal regno e non se ne seppe più nulla.

Ed era una notte impossibile da dormire, quella, per il Principe. Si tormentava per la sua stoltezza, ma come aveva potuto non vedere tutta quella sofferenza? E perché non aveva capito subito le parole del grande mago: “Dona gli occhi al tuo regno…”? Immerso in queste pene, un fruscio di capelli di seta sfiorò il suo letto. Poi quel profumo, poi lei, ma lei in carne e ossa, che lo guardava con la testa reclinata a destra. Lei ora visibile da lui e persino più adorabile di come si possa immaginare. Il Principe e la sua nuova Regina, si toccarono, e si amarono fino all’alba.

Quattro cigni sacri volarono nel cielo quella notte, tutta la notte.

(NOTA: tutte le favole di Barnard sono di sua invenzione esclusiva e coperte da Copyright)