[Paolo Barnard]

L’HO AMATO QUEL BIMBO.

 

Sono in un bar di periferia gestito da cinesi con un caffè americano e il nulla davanti. Mia ordinaria giornata di giornalista.

Entrano due bimbetti, lei sui 12 anni ricciola e cicciotta; lui 7-8 anni magrino con gli occhialoni da vista. Vanno dalla cinese e gli chiedono quanto costa una Coca Cola. “Due eulo!” gracchia lei (Dio la voce di ste cinesi…).

La bimbetta si mette freneticamente a contare un pugno di monetine nel palmo della mano, e so, io so che prega l’Angelo dei suoi fioretti della settimana di arrivarci a quei due euro. Lui, il piccolo, fissa il suo palmo. Uno e novantadue… sei… sette… otto…. Due euro! Sì! E sussurra “la compriamo”, coi suoi guanciotti rossi.

Stende le trecento monetine sul bancone, e poi, sempre sussurrando chiede “possiamo avere due cannucce?”.

Ecco, mi sono sciolto. No, sul serio, ero un lago sul pavimento con le mie collane e bracciali in acqua. Due bimbi nel 2015 che si dividono una Coca per cui probabilmente hanno risparmiato una settimana. Mi ricordo queste scene da piccolo in parrocchia nel 1965, non oggi.

Sorrido a lui, il piccolino con gli occhialoni e dai! “Prendine un’altra di Coca, te la offro io! Vai.”

Lui mi guarda bellino come un fiore, e non si muove. La cinese – sapete quelli mica fanno storielle – va al frigo e gli ficca la seconda Coca in mano, ora ne hanno una ciascuno.

Da quel punto del bar all’uscita ci sono 15 metri. Dove mi sono innamorato di quel bimbo è negli sguardi che mi ha regalato in quei quindici metri. Faceva un passo e mezzo e si girava a guardarmi, io gli sorridevo. Poi altri 2 metri e si girava per me e mi guardava, e così sempre, e anche oltre l’uscita attraverso il vetro. Quella faccina stupefatta di bimbo.

L’avrei baciato e ci avrei giocato su un prato per un giorno intero e lo avrei protetto e ribaciato. Da papà. Amore.