[Alcune considerazioni su...]

(versione stampabile)


LA COMPASSIONE HA UN SAPORE: AMARO. UN COLORE: BUIO.

 

Immaginate la scena. Io sto uscendo dal Cimitero di Bologna, che ha davanti delle spianate di erba verde all’inglese e i chioschi dei fiorai, soliti. C’è il sole, fa caldo, molto. Mentre cammino l’angolo del mio occhio sinistro nota qualcosa lontano, sull’erba, una cosa come qualcuno sdraiato che prende il sole. Ma il mio occhio si collega all’istinto, e mi ferma. Guardo meglio. No, non va bene, quella persona non è a posto, non si vede da qui ma io lo so. Mi dirigo verso di lui e quando arrivo vedo una cosa fra il surreale e l’orribile.

Sdraiato è un ragazzo, tossicodipendente, lo vedo in meno d’un istante, che si gira verso di me col volto deforme e gli occhi sbarrati, mentre il suo corpo dà scatti in verticale convulsi. Ha tutta la parte sinistra del corpo paralizzata, non può parlare. Ma il surreale è una ciotola d’acciaio da cani, di quelle dove si versa l’acqua per l’animale, avete presente, che gli sta accanto. Ed è appunto colma d’acqua. Ma cosa ci fa lì un ragazzo colpito da un ictus e una ciotola per cani?

Gli parlo, le dita corrono al 118 sul cellulare. Ambulanza, il medico mi conferma, è grave, probabile ictus devastante, io continuo a parlare al ragazzo, lui non mi toglie gli occhi sbarrati di dosso. Lo portano via. Io vado via.

Mi avvicino al primo chiosco dei fiorai e gli chiedo se avevano notato quella persona riversa, e non ci credo, non ci credo: “Sì, era venuto qui a dire che stava male, ma sai quelli sono tossici”. Io: ma la ciotola che è? “Ah! gliel’ha data mia moglie, che si levasse dalle palle”. Ecco, la gente. Sapete già: Barnard diventa cobra, e li spiaccica entrambi alle pareti del chiosco.

Vado. Non pensiate che mi voglia dipingere un santo laico, no, non è questo il punto, ma questa azione fu il mio momento di soccorso a un sofferente numero trecento, e più, in Italia e nel mondo. E come tutte le trecento volte faccio quello che va fatto, e poi a un certo punto, dopo un’ora di compassione, dopo un giorno, dopo anni accanto alla compassione, mi trovo sempre a camminare e ad andarmene. E sempre ho questo terribile sapore amaro. Non sono affatto più felice, non mi sento contento di me, non sto bene, no, tutto il contrario. Amaro, buio, un disagio nel corpo, umore là sotto, mi trovo teso e rabbioso.

Amaro, il sapore della compassione è amaro. Per me.

E il buio. Non si accendono luci dello Spirito dopo quei momenti, non a me. Ogni madre che ha pianto con me nel corridoio dei terminali, con 38 chili di figlio dietro la porta. Buio in me. Perché dovevo esserci io lì? Perché non c’era nessun altro? Buio. Ogni rudere umano raccolto alle 3 del mattino con meno 4 gradi, ogni coperta, giaccone, borsa di cibo che gli ho dato. Buio, nessuna luce che scende su di me con in cima Gesù a braccia aperte. Buio in me. Perché dovevo esserci io lì? Perché non c’era nessun altro? Ogni volta che su un viale con centinaia di auto, io ero l’unico a fermarmi perché quell’anziano aggrappato a un cancello tremava e non muoveva un passo, tutti gli altri zoooommm… Buio. Perché dovevo esserci io lì? Perché non c’era nessun altro?

Il volto di quella ragazza, Dio Dio! se non l’avessi mai vista quella foto al museo del genocidio salvadoregno, in bianco e nero. Di spalle sono due uomini con giacche borghesi, s’intravede appena la pistola che uno  tiene in pugno. Lei è magra e sembra che stia guardando se stessa, una camicetta e una gonna fin sotto le ginocchia, mani legate dietro la schiena e non più di 25 anni, sta in piedi sul ciglio di quello che sembra un dirupo, in realtà una discarica. Sotto, la didascalia: “A.M., nata 27/02/1953, sindacalista, arrestata il 4 luglio 1978, torturata, stuprata dai cani, le hanno mozzato la lingua perché non urlasse, e assassinata sulla discarica Macuta il 9 settembre 1978.” No, non si squarciarono i cieli e non si strapparono i drappi dei templi quel giorno. Una cosa scomparsa nel dimenticatoio, e fine. I pugni nello stomaco della compassione per lei, inesistente fardello di ossa d’amore per la libertà, fanno salire la bile alla bocca, sapore amaro, e spengono le luci di chi le sente queste cose, buio.

Buio, il colore della compassione è buio. Per me.

Cammino con questi “perché?”. Perché tutto gira e sempre più caoticamente, e nulla si ferma per la compassione. Perché l’ottundimento di miliardi di umani non sente nulla, e chi si ferma ad avere compassione sono sempre… quasi nessuno? E il loro numero non aumenta, no, non aumenta. Perché?

Perché una ciotola per acqua da cani? Amaro, buio, mica illuminazione. Quella la disegnano sui libri della dottrina, con Gesù in cima al fascio di luce a braccia aperte e, sotto, una balla.

E io cammino, e vado via.


 


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