FARE VERO GIORNALISMO.
GALOPPO DI UN ESECRABILE KAMIKAZE.
Le righe che seguono non sono autocelebrazione. Significano
altro.
Sono piccolo, sono io da solo, vivo oggi nel 2016 pensando
ai 25 euro per la pizza che non mi posso permettere e infatti mangio 7 su 7 in
casa pasta burro e parmigiano e pomodori in insalata, non ho l’auto e solo la
bici ecc. ecc., perché quello che ho sempre denunciato per anni me lo sono
ritrovato in casa. Ero classe media agiata e oggi sono povero.
Ma ieri a La Gabbia di La 7 io ho detto cose contro due
mostri mondiali che sono più potenti di interi Stati. Uno di questi, BlackRock,
ha un fatturato che è 3 volte il PIL di tutta l’Italia, l’altro è Assicurazioni
Generali che è il terzo gruppo del mondo nel ramo. Le cose che ho gridato ieri
in prima serata mi possono fruttare una querela che stenderebbe l’intera
popolazione del Laos. In treno da Bologna a Milano ieri pomeriggio ero in
collegamento con la redazione di La Gabbia e un penalista di fama nazionale per
capire quanto ci, meglio mi, potevano fare a pezzi i mostri, e la risposta del
legale fu che possono ridurmi a una poltiglia di verme in un pomeriggio per quello che avevo da dire su di loro.
All’arrivo a Milano mi scoppiava la testa. Una voce mi
diceva che sono un degenerato che per soddisfare la mia infermabile furia di
giustizia stavo per devastare innocenti familiari fra cui quella 92enne cieca invalida
che risponde al nome di mia madre. Mi dicevo che sotto a tutto questo c’è una
mia ignobile smania messianico-egocentrica, una psicosi maniacale punitiva
contro i ‘cattivi’. Ma peggio. C’è in me, mi dicevo, questa vergognosa
contraddizione perché io so bene che i ‘cattivi’ non sono il Vero Potere, ma la
gggènte bieca massa abnorme dedita al suo porco chissenefrega per cui mai MAI
vale la pena sacrificare un callo del piede per loro. E allora fermati Paolo, fermati
sulla pensilina di Milano Centrale, manda affanculo il programma e non rischiare di mandare
te e la tua famiglia alla camera a gas.
Un’altra voce, mentre però le mie gambe da sole mi muovevano
verso il taxi che mi avrebbe portato a La Gabbia, mi diceva che io sono nato
cavallo che galoppa e nessun burrone davanti a me può fermare le mie zampe che
ora artigliano la terra furibonde perché io quelle cose le devo, devo devo devo
e devo dire, sono nato così.
Ho preso il taxi e sono andato in onda. Non so cosa
succederà, spero nulla, spero che i documenti con cui mi ero fortificato
facciano desistere i mostri dal macellare me e quella mia madre cieca.
Voglio dire questo: il giornalismo è un patto suicida se uno
lo fa davvero. Un suicidio certo, per definizione, perché per definizione fare
giornalismo è Davide contro Golia sempre, ma con un finale esattamente opposto:
muore Davide. Il kamikaze sa bene cosa fa, e sa bene che i suoi cari pagheranno
col dolore, o peggio, il suo gesto. E io ieri davanti a quel microfono di Tv
nazionale mi sono visto imbottito di tritolo, ma con una differenza. Il
detonatore l’hanno ora in mano la Assicurazioni Generali e il colosso
BlackRock. Spero non premano il bottone.
Ho paura, ma veramente paura, perché nella realtà sono
piccolo.
Sono sul letto dell’albergo di Milano, sono le 4:21 del
mattino. Volevo solo dirvi che un giornalista che sia degno di quel nome è un kamikaze dilaniato sempre da un’irrisolvibile dilemma fra la difesa dei suoi
affetti e quelle zampe al galoppo infermabili perché deve dire dire dire e dire
ciò che sa, nell’incoscienza esecrabile del kamikaze.
Notte.
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